Discutere con gli zombie – Le idee economiche mai morte che uccidono la buona politica – Paul Krugman

SINTESI DEL LIBRO:
La notte delle elezioni del 2004 non è stata scioccante quanto
quella del 2016, ma ha rappresentato un’amara delusione per i
liberal americani. A posteriori, l’immagine di George W. Bush è
migliorata; la gente lo reputa, giustamente, migliore di Donald Trump
e ha dimenticato le scelleratezze commesse durante la sua
presidenza. In particolare, Bush ha spinto l’America verso la guerra
con l’inganno, provocando la morte di centinaia di migliaia di
persone. Vedere gli elettori premiare una simile bassezza non è
stato piacevole.
Inoltre, molti commentatori considerarono quelle elezioni non un
evento una tantum, bensì il preludio a una lunga stagione di
predominio conservatore. I network televisivi – all’epoca gli spettatori
seguivano anche le reti tradizionali –,
erano pieni di persone che annunciavano la morte del liberalismo
americano, la conferma che la nostra era una nazione
fondamentalmente conservatrice.
Ma un esame più attento raccontava tutta un’altra storia. Le
elezioni del 2004 non sono state una ratifica delle politiche
conservatrici, anzi si sono distinte per l’assenza di discussioni
politiche, in parte perché le questioni politiche non sono riuscite ad
aprirsi un varco nella banalizzazione imposta da quasi tutti i media.
Per esempio, a un certo punto ho analizzato le trascrizioni dei
notiziari trasmessi nell’arco di un mese, per verificare cosa fosse
stato detto ai telespettatori riguardo alle proposte per l’assistenza
sanitaria avanzate dai due candidati, di fatto molto diverse. La
risposta fu niente. A parte un paio di analisi del significato politico
delle proposte, non si era spesa nemmeno una parola sul loro
contenuto effettivo.
Le elezioni si sono giocate invece sul piano dell’immagine e della
percezione. Bush si stava ancora crogiolando nella gloria seguita
all’11 settembre e nell’illusione della vittoria in Iraq; molti americani
continuavano a reputarlo un’icona eroica della sicurezza nazionale,
dando luogo a quella che i britannici chiamano «elezione in
grigioverde». Un tema secondario ma ugualmente significativo
chiamava in causa i valori tradizionali: alcuni sostenitori avevano
iniziato a fare pressioni per la legalizzazione dei matrimoni gay,
scatenando una reazione sgradevole.
Così, come amavo dire in tono scherzoso, Bush ha vinto le
rielezioni spacciandosi per colui che voleva difendere l’America dai
terroristi gay sposati. Ma appena finite le elezioni, ha dichiarato di
avere un mandato per… privatizzare la Social Security,
trasformandola in un sistema di piani di investimento individuali.
Perché Bush e i suoi consiglieri credevano che sarebbe stato un
successo politico? Parte della risposta risiede nel fatto che, come
molte persone benestanti, non avevano idea di quanto la Social
Security sia indispensabile alla maggioranza degli americani.
Se sei un consulente politico, un giornalista, l’esperto di un think
tank e così via, e sei ben retribuito, probabilmente hai un importante
piano pensionistico privato e prevedi di avere considerevoli
disponibilità quando compirai sessantacinque anni. Ma quasi tutti i
pensionati si affidano alla Social Security per gran parte delle loro
entrate, e per circa un terzo di questi soggetti essa è praticamente
l’unica fonte di reddito. Quando le persone hanno iniziato a rendersi
conto che Bush voleva indebolire il programma, non se ne sono
certo rallegrate.
Ma Bush & company non solo non hanno compreso quanto gli
elettori in generale amino la Social Security. Hanno anche fatto
troppo affidamento sul consenso dell’élite.
Forse ultimamente le cose stanno cambiando, ma nel periodo
coperto da questo libro c’erano, in ogni momento, fatti di cui era «a
conoscenza» chiunque, a Washington, volesse sembrare saggio e
ben informato: non perché fossero fatti veri, ma perché
rappresentavano l’opinione condivisa dagli altri membri dell’élite.
Uno di questi fatti era che la Social Security era in crisi e necessitava
di una riforma radicale. Le persone che sostenevano questa tesi non
avevano esaminato i meccanismi del sistema pensionistico
americano o i numeri del suo futuro; sapevano soltanto che era la
cosa giusta da dire. Come ho scritto a un certo punto, parlare di
Social Security in crisi e di tagli al welfare era un «distintivo di
serietà ».
Il desiderio di sembrare seri andava di pari passo con quello di
sembrare alla moda e aggiornati. La Social Security aveva giÃ
ottant’anni quando si è aperto il dibattito sulla sua privatizzazione, e
un discreto numero di commentatori ha addotto la sua età come una
delle ragioni per modificarla, portandola finalmente nel XXI secolo.
Dopotutto, la previdenza aziendale era cambiata drasticamente:
l’antiquata pensione «a prestazione definita», che pagava al titolare
un importo mensile fisso, aveva ceduto il passo ai piani «a
contribuzione definita», che mettono i soldi in un conto di
investimento. Perché non fare la stessa cosa per la Social Security?
A dire il vero, per molte buone ragioni. In realtà , il livello di rischio
raggiunto dai piani pensionistici privati rendeva ancora più
importante il fatto che le persone avessero un reddito garantito
stabile, nell’eventualità che gli investimenti andassero male. Ma ciò
non era evidente per individui non abituati a riflettere attentamente
sull’economia pensionistica.
Ed è qui che siamo entrati in gioco io e alcuni studiosi progressisti.
La Social Security è stata salvata dalla privatizzazione soprattutto
grazie a due fattori: la forte opposizione dell’opinione pubblica
quando ha capito cosa stava accadendo e la decisa resistenza dei
leader democratici, in particolare di Nancy Pelosi, alle assurditÃ
dell’élite. (Mrs. Pelosi, sentendosi chiedere quando avrebbe
presentato il suo piano per la Social Security, ha risposto: «Mai.
Soddisfatti?».) Ma le persone come me avevano il compito, che
all’epoca
pareva importante, di ridimensionare l’assurdità ,
dimostrando che la presunta crisi non era reale, che la
privatizzazione non era la risposta a un problema concreto, che
garantire un sostegno di base negli anni della pensione è una delle
cose che lo stato dovrebbe fare e che sa fare meglio del settore
privato.
Ed è successo qualcosa di sorprendente. Per la prima volta da
quando scrivevo per il «New York Times», il mio schieramento in un
dibattito politico ha vinto.
Le intimidazioni sulla Social Security
5 marzo 2004
La relazione annuale degli amministratori fiduciari della Social
Security rivela un sistema in ottima forma finanziaria. In realtÃ
basterebbero modeste iniezioni di denaro per mantenere gli attuali
livelli di prestazioni almeno per i prossimi settantacinque anni. Altre
relazioni sembrano tuttavia descrivere un sistema in grossi guai
finanziari. Per esempio, uno studio condotto dal Tesoro nel 2002 e
riportato martedì dal «New York Times», sostiene che la Social
Security e il Medicare sono in rosso di 44.000 miliardi di dollari. Qual
è la verità ?
Ecco un indizio: anche se i politici di destra dichiarano
pubblicamente di voler salvare la Social Security, gli ideologi che ne
condizionano le opinioni non vedono l’ora di trovare un pretesto per
smantellare il sistema. Così dovete prendere con le molle gli allarmi
lanciati da persone che lavorano in istituzioni a forte trazione
ideologica, la cui lista, ahimè, comprende ora anche il ministero del
Tesoro statunitense.
Primo, tre parole – «e il Medicare» – fanno un’enorme differenza.
Stando allo studio del Tesoro, solo il 16 per cento di quel buco di
44.000 miliardi di dollari viene dalla Social Security. Secondo, il
presunto buco in entrambi i programmi emerge perlopiù da
proiezioni sul lontano futuro: il 62 per cento del totale si colloca infatti
dopo il 2077.
Dunque la relazione del Tesoro lascia presagire una crisi
imminente della Social Security? No.
Il
problema della Social Security, così com’è, è una questione
demografica: con il progressivo invecchiamento della popolazione, il
numero di pensionati aumenterà più rapidamente di quello dei
lavoratori. Ne consegue che i costi delle prestazioni previdenziali
saliranno del 2 per cento circa del PIL nei prossimi trent’anni, per poi
continuare a lievitare lentamente. In confronto, rendere permanenti i
tagli fiscali di Bush ridurrebbe le entrate erariali di almeno il 2,5 per
cento del PIL, a partire da ora. Questo – unito al fatto che la Social
Security, a differenza del resto del governo federale, attualmente ha
un surplus – è il motivo per cui i tagli delle imposte voluti da Bush
sono, per il futuro fiscale della nazione, un problema molto più grave
del buco della Social Security.
Il Medicare, anche se spesso viene aggregato alla Social Security,
è un altro programma con problemi diversi. Il previsto aumento dei
suoi costi è provocato principalmente non dalla demografia, bensì
dal costo crescente dell’assistenza sanitaria, a sua volta anzitutto
riflesso dei progressi della medicina, grazie ai quali si può curare
uno spettro più ampio di malattie.
Se questa tendenza continua – il che non è affatto certo,
considerando il lunghissimo termine –, con il passare del tempo
potremmo trovarci di fronte a un reale dilemma che riguarderebbe
l’assistenza sanitaria nel suo complesso, non solo quella per i
pensionati, e che sarebbe di natura tanto morale quanto economica.
Alla fine potrebbe accadere che la necessità di offrire a tutti gli
americani tutti i vantaggi della medicina moderna costringa lo stato a
raccogliere molto più denaro di quanto faccia adesso. Tuttavia,
rifiutarsi di garantire questa assistenza significherà condannare gli
americani poveri e del ceto medio a morire precocemente o a
sopportare una drastica riduzione della qualità della vita, perché non
potranno permettersi cure mediche complete.
Ma questo dilemma si presenterà a prescindere da cosa facciamo
della Social Security. Non è chiaro nemmeno che dovremmo cercare
di risolverlo ora. La lungimiranza va benissimo; trovo scandaloso
quando l’amministrazione fa proiezioni di bilancio per un solo
quinquennio, nel tentativo di occultare dei costi noti spingendoli un
po’ più in là nel tempo. A ogni modo, pianifichiamo pure in anticipo.
Ma mettiamo qualche paletto. Quando si danno funesti avvertimenti
sul costo del Medicare dopo il 2077, la mia domanda è: perché le
decisioni fiscali odierne dovrebbero riflettere l’eventuale costo della
somministrazione di cure mediche non ancora inventate a
generazioni non ancora nate?
Il rischio più grosso che ora minaccia la Social Security è di natura
politica. Coloro che odiano il sistema ricorreranno a tattiche
intimidatorie e a una matematica approssimativa al fine di demolirlo?
Quando Alan Greenspan ha chiesto di tagliare le prestazioni della
Social Security, i parlamentari repubblicani del Congresso hanno
dichiarato che la soluzione è creare piani previdenziali privati. È
sorprendente che stiano ancora tentando di rifilarci questa bufala e,
ancora di più, che i giornalisti continuino a fargliela passare liscia.
Ieri, sul «Wall Street Journal», un commentatore ha dichiarato
assennatamente che «i piani individuali, da soli, non cureranno i mali
della Social Security». Immagino sia vero; analogamente, le
ciambelle, da sole, non vi faranno dimagrire. Perché è così difficile
dire chiaro e tondo che la privatizzazione peggiorerebbe le finanze
della Social Security, anziché migliorarle?
Dovremmo prendere in considerazione riforme di modesta entitÃ
che riducano le spese o che allarghino la base di prelievo della
Social Security? Certo. Ma attenti a chi dice che per salvare il
sistema dobbiamo distruggerlo.
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