Profilo Greco – Emiliano Di Meo

SINTESI DEL LIBRO:
Devo cambiare la suoneria del cellulare. Lo penso ogni volta che
squilla e ogni volta, al termine della chiamata me ne dimentico. Non
ho un gran rapporto con il telefono. “Chi mi cerca adesso?” Giuliano,
mio fratello, deve avere una specie di sensore in grado di fiutare i
momenti in cui sono maggiormente impegnato. Non chiama mai di
sera o durante la pausa pranzo. No, lui chiama in piena mattinata,
quando la mia scrivania è già ricoperta di scartoffie.
«Pronto?»
«David, sei impegnato?»
«Secondo te?»
«Dai rilassati, prenditi un caffè. Sai chi ho incontrato ieri?»
Con Giuliano è inutile insistere, sarebbe uno spreco di energie e
la giornata è appena iniziata.
«No, non lo so. Me lo dici tu?»
«Oreste.»
«Il fascistone? E come sta?»
Oreste ha frequentato le scuole medie con mio fratello e all’inizio
non capivo come avesse fatto Giuliano a diventargli amico. Oreste
sembrava incazzato col mondo intero, poi però, conoscendolo
meglio, compresi. È vero che era burbero e rissoso, ma sapeva
anche essere un compagno fidato e leale, infatti sono rimasti amici
per la pelle durante tutta la loro giovinezza e anche adesso che
ognuno ha creato la rispettiva famiglia, sono in contatto e non
esitano a rivolgersi l’uno all’altro in caso di bisogno.
Quando anch’io fui abbastanza grande, rendendosi conto che
come adolescente ero sufficientemente sveglio, mi consentirono di
accompagnarli in quasi tutte le loro uscite pomeridiane nonostante
fossi di dieci anni più giovane e anche Oreste prese a considerarmi
una specie di fratello minore.
All’età di ventidue anni il nostro amico mise incinta la ragazza
che frequentava in quel periodo e, per rispetto a tutte quelle idee di
rigore che aveva fatto proprie, si assunse le sue responsabilità
senza mai chiedersi se fosse realmente innamorato di lei. Chissà se
uno come Oreste pensa mai all’amore.
«Mi ha chiesto di te,» continua Giuliano.
«Ah sì? Beh salutamelo nel caso dovessi incontralo ancora.
Sono anni che non lo vedo.»
«Voleva anche il tuo numero.»
Capisco dal suo tono di voce che c’è sotto qualcosa.
«Il mio numero?»
«Sì, ha bisogno che tu gli faccia un favore.»
Non so perché, ma ho l’impressione che dall’altro capo del
telefono Giuliano stia sorridendo.
«Ehi, falla breve. È una delle tue stronzate?»
Mi urta questo suo atteggiamento.
«Io non c’entro niente. Vuole chiederti di ospitare Simone che
entro il prossimo mese si trasferisce a Roma per iniziare
l’Università.»
«Simone? Il frocetto?»
Giuliano ride.
«Eh già.»
«Caspita come passa il tempo. Simone all’Università…
Comunque non se ne parla proprio. Mi raccomando non dargli il mio
numero, inventati qualcosa, o l’hai già fatto?» domando allarmato.
«No che non l’ho fatto! Per chi mi hai preso?»
Non mi convince.
«Digli che ho affittato la stanza libera e che sono troppo
impegnato.»
«Non sono bravo a sparare cazzate,» risponde quell’idiota di mio
fratello.
«E questa cos’è? Ti riesce solo con me? Guarda, non farmi
scherzi.»
Incredibile il destino. Chi poteva mai immaginare che a uno come
Oreste potesse nascere un figlio gay. Quante risate ci siamo fatti io e
Giuliano alle sue spalle. Simone già da ragazzino era un concentrato
di
delicatezza e mossette da femminuccia. Probabilmente il
ragazzino più mite che abbia mai conosciuto, l’esatto opposto del
padre che, per molto tempo, ha provato a spronarlo in tutti i modi a
mostrarsi più sicuro di sé, meno damerino. Parole al vento.
«Quante cazzo di volte sei capace di dire per favore in un
giorno?» sbottava in alcuni momenti.
«Ehi lascialo in pace. Non vorrai mica fargliene una colpa,»
interveniva Giuliano.
«Colpa di cosa?»
«Di essere più educato di te!»
«Tutto questo cazzo di paese è più educato di me!»
E poi spintoni e sonore risate, come succedeva tutte le volte in
cui Giuliano e il suo amico erano insieme. Credo di aver visto Oreste
litigare con tutti nel nostro gruppo, tranne che con Giuliano e con
me, perché troppo più giovane e quindi da proteggere. A volte
sentivo ci fosse più complicità fraterna tra loro di quanta ce ne fosse
con me.
Conclusa la telefonata, torno a concentrarmi su quanto stavo
facendo. C’è un nuovo contratto da leggere e analizzare in ogni
parte prima di passarlo all’ufficio legale affinché diano il via libero
definitivo.
Per me la questione di Simone si è conclusa con la telefonata di
Giuliano. Non ho alcuna intenzione di ospitare qualcuno in casa mia,
meno che mai il figlio di Oreste. Il ragazzo è educato, almeno è così
che me lo ricordo, ma non abbiamo niente in comune e non saprei di
cosa parlare con lui. Meglio che se ne stia con i ragazzi della sua
età. Ha solo diciannove anni e io trentuno. Insieme a me si
annoierebbe.
Luca, il mio collaboratore, bussa alla porta ed entra esibendo un
sorriso da scemo.
«Hai visto la nuova ragazza alla reception?»
E con le mani delinea la figura della giovane.
«No, quando sono arrivato c’era ancora Carlo, il vigilante.»
«Andiamo ti porto in ricognizione!»
Luca si entusiasma come un adolescente e io lo assecondo.
Sono tre ore che me ne sto chiuso in ufficio e non ho ancora preso
un caffè. Una pausa mi farà bene.
Scendiamo al piano terra con la scusa di aspettare una consegna
importante e ci presentiamo alla giovane nuova assunta. Luca aveva
ragione, la ragazza è una bomba sotto ogni punto di vista e anch’io
mi ritrovo a sorridere e scherzare come un adolescente in calore.
«Oh, patti chiari, questa lasciala a me,» mi dice in ascensore.
«Tu hai Giovanna, che detto in confidenza è una gran gnocca,»
commenta con la massima naturalezza.
«Cazzo, non parlare così della mia ragazza! Sei veramente uno
sfigato.»
«Non sono uno sfigato e vedrai che la tipetta della reception
tempo un paio di mesi e me la calzo,» afferma sicuro, mentre sulla
faccia gli compare un sorriso da ebete.
«Che coglione. Figurati se una come quella la dà a uno come
te,» scuoto la testa guardandolo scettico.
«Guarda che mica tutte sbavano per i tipi super sportivi come il
nostro campione qui presente, sai? E io ho stile.»
A questo punto prende a roteare il bacino.
«Che coglione.»
La verità, però, è che riesce sempre a farmi ridere. Luca è uno di
quei tipi comici di natura. È simpatico anche quando non ha
intenzione di esserlo e credo sia una delle ragioni che mi hanno
portato ad assumerlo. Mi fece divertire anche durante il colloquio.
«Che fai, vieni domenica?» gli domando prima di tornare in
ufficio.
«Oh certo, quell’energumeno ti farà il culo e chi se lo perde?»
«Quando avrò finito con lui verrò a cercare te!» Gli punto l’indice
contro con fare minaccioso, ma anche adesso, a guardalo, mi viene
da ridere.
«Mi ricordi chi è quell’incompetente che ti ha assunto?» chiedo.
«Tu, capo!»
«Pensa quanto dovevo essere disperato.»
Domenica ho un incontro di Kick Boxing. Ho scoperto questa
disciplina dodici anni fa entrando per caso in una piccola palestra,
quasi nascosta in una poco appariscente via nel quartiere di San
Lorenzo. L’energia di quel posto è stata la prima cosa che ho notato.
Il rapporto misto di cameratismo e sana competizione che legava i
ragazzi del centro, la seconda. Cercavo una sala pesi e mi ritrovai in
una specie di vecchio magazzino, con panche per allenare il petto
lungo tutto il perimetro della sala, sacchi appesi al soffitto e un
grande ring al centro a far da protagonista. Mi iscrissi quello stesso
giorno e, con indosso pantaloncini e canotta, feci il primo
allenamento. Fu grandioso, galvanizzante, anche se il giorno
seguente l’acido lattico mi impedì quasi di scendere le scale. Da
allora, credo di non aver mai saltato un allenamento, raggiungendo
un equilibrio psicofisico che prima non avrei neppure potuto
immaginare.
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