Amo dunque sono – Sibilla Aleramo

SINTESI DEL LIBRO:
Felicità e spasimo - nello spirito e nelle vene, come quando ci
baciavamo e nel bacio terribilmente erano adunate tutte le forze
della nostra vita, crudeli, folli, grandi, Luciano, mio Luciano, e tu ti
staccavi dalla mia bocca, alzavi il viso, la luce era su te, scuotevi i
capelli, raggiera di viola, dove vedevo i serpi della Medusa e i viticci
di Dioniso... Così, distesa, io restavo, affascinata, le braccia aperte
protese. Ancor una volta il bacio non ci aveva dissolti, e ancora una
volta le labbra tornavano a congiungersi, in una sfida temeraria,
esse così dolci.
Come allora, come ancor ier l'altro sera, stamane che non so più
nulla di te, Luciano, se già sei partito, se già navighi in cielo, o se il
tuo viaggio è rinviato e tu ugualmente mantieni il nostro distacco, io
mi tendo a te, soggiaccio a te. Della mia sofferenza fo la mia
beatitudine. Voglio credere in ciò che m'hai detto, voglio credere
anche nel mio potere d'amore, e nel miracolo ultimo dell'universo...
Voglio esser felice, in questa fede, e nell'attesa.
Senza pensiero, ecco, in un silenzio immenso dove le mie parole
sono soltanto come i battiti del mio cuore. Ah, se vinco stamane i
sordi assalti della passione, stamane che forse tu sei ancora qui
presso, Luciano, se vinco e non vengo selvaggiamente a cercarti
mentre forse ancora è tempo, tutto il patimento che sgorgherà poi
sarà in precedenza assolto, trasformato in canto...
E dopo il canto, dove va ad abbattersi l'allodola, su quale gioia?
Ella lo sa, traversando l'azzurro e il bianco, in alto e sola.
Vedi? Credo d'esser io con l'ale, ora, che tu con esse t'allontani.
Così credevo, ed era, di diventar bella come te, fra le tue braccia.
Giovine mi sentivo ritornare, come te, fonte di vita, e tutta lucente.
Dove sei, dove?
Ieri, attraverso il triste apparecchio telefonico, m'hai ripetuto che
deve essermi facile seguirti con lo spirito... La tua voce, così, che
insinuava prodigi, dava già l'idea dell'irreale. E...
No, silenzio, oggi. Per propiziarci i giorni che verranno. Ch'io
ricordi la tua voce d'altri momenti, quando ti guardavo, e toccandoti
mi pareva quasi di toccare essa che saliva dalla tua gola, si
spandeva nella vasta stanza, diceva cose misteriose, fatte più di
musica che di verbo, scandite, e senza risposta...
Ti rispondevano i miei occhi, e la carezza della mia mano. La mia
essenza, atomo d'infinito, era in te presente, vibrava come la tua
parola in me.
Bello! Ti schermivi se ti chiamavo «bello», parola in cui racchiudo
la tua grazia e la tua gloria...
Parti come crociato, Luciano, Figlio degli Dei, con la tua chioma
di viola, col tuo sguardo d'aquilotto, col corpo perfetto che non ha
voluto denudarsi per me e donarsi alla sete del mio, oh Luciano, che
mi possederai intera, hai detto, sol quando i nostri spiriti si saranno
penetrati l'un l'altro, Luciano, Luciano, io so che queste invocazioni ti
arrivano prima ancor ch'io le scriva, e in questo momento tu mi vedi,
e chiami: «Sibilla!».
T'ero destinata, nel nome e nel cuore. M'hai ghermita, ma ora
tieni il braccio teso, discosto, se pur la mano serra forte. Non mi
lascerai cadere. Mi riporterai sul tuo petto, svanito ogni spasimo,
sola la felicità sopra a noi lieve respirerà.
3 luglio
Ieri, appena terminai di scriverti, e chiusi in una busta da
consegnarti al tuo ritorno, fui assalita da cupa angoscia. Dovetti
stendermi sul divano, il divano dei nostri baci, e chiamare al
soccorso ogni mia volontà di calma...
Mi risollevai, ma senza aver ritrovata l'esaltazione del mattino.
Mi accinsi a preparare i miei bauli. Ed ecco, alzando il coperchio
di quello nel cui fondo avevo lasciato alcuni libri, che titolo veggo?
Quando noi morti ci destiamo. Prendo il volumetto, l'apro, gli occhi
leggono la frase: «Gli uomini si accorgono dell'irreparabile quando,
morti, si destano...».
L'antica ibseniana ha avuto un brivido.
Ansia, ansia affannosa di cercarti, di raggiungerti, di aggrapparmi
alle tue spalle e gridare: «bada, bada a ciò che poi non potremo
riparare!...».
E sono uscita, son andata fino alla tua casa.
Il portiere non ha saputo o non ha voluto dirmi se eri già partito.
Ho dovuto rassegnarmi a ritornare indietro, così.
Per via, la gente non ha sospettato: ho avuto il mio solito passo
agile e rapido, che ti sorprese la sera che ci ritrovammo, tre mesi fa,
dopo un anno che non ci vedevamo, ricordi? E il mio solito aspetto di
donna dal viso roseo nella veste rosa, di donna che quasi tutti si
voltano a guardare, perché piace, forma compiuta ed armoniosa.
Neppure ha sospettato nulla, più tardi, lo scrittore spagnolo che è
venuto a salutarmi...
Stamane fui interrotta per i preparativi del viaggio mio. Ora tutto è
pronto. Questo salone non si riconosce più. Siamo già partiti,
Luciano! Sorridesti quando ti dissi la prima sera, qui, che pareva vi
fossimo arrivati assieme, di lontano...
Assieme con te ho vissuto tutto il mese - sebbene tu sia venuto a
vedermi soltanto poche volte...
Era un rifugio bello, quasi degno, come ha detto iersera quello
spagnolo senza saper di pronunciare una parola tanto giusta.
Ci torneremo mai più?
E questa è frase banale, per te. Ma certe banalità assumono
significati laceranti, quando si ha già molto vissuto...
Luciano! Non m'hai mandato il saluto né il dono che m'avevi
promesso. Sei dileguato...
Come, in qual modo ti sentirò domani, lontana da qui dove
sapesti creare il sogno?
Milano, 4 luglio
A mezzodì, bevendo dell'acqua ghiacciata in un cristallo fine, alla
tavola perfettamente servita di questo piccolo antico albergo nel
cuore della città, mi sono d'improvviso chiesta quale acqua tu berrai,
laggiù nella torre di cui m'hai parlato...
Torre in mezzo al mare. Una vedetta diroccata, su di uno scoglio
deserto.
Non saprò quando vi giungerai. Ti accompagneranno con una
barca, ti lasceranno, con le provviste per tutto il mese.
Solo.
Aggancerai l'amaca. Vi saranno finestre, o soltanto feritoie?
Scale? L'alto della torre avrà uno spiazzo, qualche metro per
passeggiare?
«Sarò staccato da tutto,» mi dicesti. «Non parlerò che con i Geni
e con i Dèmoni.»
Avevi il tuo sorriso di fanciullo che vuol farsi
perdonare una civetteria innocente.
«C'è anche l'eventualità ch'io non ritorni...» Ti chiusi la bocca
con la mano, ma tu mi scostasti, sempre sorridendo.
«Potrei, come dirti?... rimaner stroncato nella prova...» «Morire!
Anche a me può accadere, da un istante all'altro.»
«Per me le
probabilità sono infinitamente maggiori, per la tensione spaventosa.
Laggiù il rischio sarà spinto all'estremo...» Rabbrividii. Le tue belle
mani maschie avevan le vene stranamente turgide.
Allora tornasti a parlare della torre, dell'amaca, del mare, delle
lunghe ore di nuoto che farai ogni giorno.
Nudo ti vedranno i flutti dove cantarono le Sirene attorno alla
nave d'Ulisse.
Sera. Dopo le dodici ore di viaggio della notte scorsa, e la
giornata d'oggi assorbita da visite a vecchi amici, mi trovo spossata,
mi corico, spero di dormire malgrado il frastuono che sale dal Corso.
Sento che mi pensi, a baleni, con intensità vertiginosa.
5 luglio, mattino
Mio Luciano, per la prima volta ho avuto da te una
comunicazione oh, appena dicibile! e forse non si può chiamar
neppure così. - Me n'è rimasto un senso di grazia che s'avvicina, che
sta per rivelarsi, Luciano!
Nel dormiveglia, un'ora fa, il mondo m'appariva sotto specie di
zona colorata (la camera era buia, e il cielo fuori, l'ho poi visto, tutto
grigio di pioggia). Non so bene se il mio spirito vedeva soltanto o se
in certo modo passava attraverso quel gran prisma. Poi, ho avuto la
percezione di te, non corporea, ma della tua forza segreta, intesa in
quel momento a sondare quelle zone ed altre, come realtà grandi. E
qualcosa, non la tua voce cara, ma qualcosa che partiva da te,
sicuramente dallo spirito tuo, ha toccato la mia essenza, l'ha tutta
suasa. Le fasce di colore si son dissolte. Più lucida mi s'è
manifestata la potenza di penetrar addentro al mistero del cosmo,
potenza tua, mia, universa, e il Mistero anelava trepido come una
sposa innamorata... Oh, non so dire, non so dire. Tu puoi intendermi
ugualmente, ma nessun altro, forse. Nello stesso istante la mia
compagine fisica si destava, con la coscienza torbida della sua
povertà, della sua stanchezza, di tutto quanto ostacola quella
potenza ad attuarsi pienamente... Non importa, Luciano. C'è stato un
attimo di congiungimento divino fra la vita occulta e la vita palese, fra
gli astri e la terra, fra il tuo cuore e il mio, e per la prima volta, sì,
m'ha illuminata la certezza della tua sorte, se non ancora della mia...
Certa son ora che non invano, non per fiabesca illusione, tu sei
partito in solitudine alla ricerca di reami - oscuri?, radiosi? alla
conquista di facoltà profonde. I poteri si conquistano, non si hanno in
dono. In dono abbiamo la nostra forma, questo nostro aspetto ch'è
quasi sempre l'indice di ciò che dobbiamo interiormente divenire. E
tu, Luciano, hai iscritti così chiari in fronte i segni dei predestinati a
compier meraviglie! Tuttavia, vedi, io dubitavo, e te lo dicevo anche.
Ma tu sai il perché. Sai come io fossi reduce da un'esperienza che
avrebbe per sempre distolta da ogni ulteriore contatto col mondo
esoterico un'anima meno intrepida della mia.
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